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Perché il metodo Konmari a me non piace.

5/12/2016

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Chiacchiere da parrucchiera, animate discussioni da bar, ospitate in radio nazionali: negli ultimi mesi è stata Marie-Kondo-mania: il suo manuale  “Il magico potere del riordino” è stato in cima alle classifiche dei best seller, affermandosi come una pietra miliare tra i libri riguardanti lo space clearing e il decluttering. Ovvero su come liberarsi dal superfluo.
Il metodo descritto, il famigerato Konmari, è diventato argomento di infinite dissertazioni, che si possono riassumere nella domanda: è geniale o è da pazzi?
​
Io, in quanto professional organizer, ho ovviamente letto attentamente (tre volte!) il libro. E ci ho trovato anche dei buoni consigli. Sistemare i capi nell’armadio in verticale e non in orizzontale è un ottimo metodo. Così come trovo molto giuste le considerazioni elaborate riguardo ai regali: la funzione del regalo è quella di essere ricevuto e di far piacere al destinatario. Una volta consegnato, se il destinatario trovi o meno una funzione all’oggetto e decida quindi di tenerlo o meno, riguarda solamente egli stesso. Quindi dovremmo sentirci liberi di buttare, donare o vendere oggetti che abbiamo ricevuto in regalo. Molto razionale, OrganizziAMO approva!
Altri consigli mi sono sembrati invece delle sciocchezze. Ad esempio, usare le scatole delle scarpe per conservare la biancheria non è una trovata molto igienica (e nemmeno esteticamente apprezzabile). Così come buttare via tutte le buste paga non è molto saggio.
Ma ci sono quattro aspetti di questo metodo che proprio non condivido.


RIORDINO O… BUTTAR VIA?
Prima di tutto, la Kondo fa un po’ di confusione. Già dal titolo si fa riferimento al potere del riordino, e lungo tutto il libro lei parla sempre di riordino, ma tale non è, visto che il principio fondamentale ricorrente è “butta via tutto”. Ma riordino significa sistemare ciò che rimane DOPO un’operazione di cernita, non significa buttare via! Ai consigli sul vero riordino viene dato uno spazio marginale, e spesso sono scontati e banali.  Non so se sia solo un problema di traduzione internazionale dal termine originale giapponese, ma lo trovo un errore grossolano e fastidioso.


IL CARATTERE ORIENTALE
Il secondo, grande scoglio nella lettura del libro è il suo essere molto “giapponese”. Cosa intendo? É bello ed interessante leggere come Marie consigli di salutare la propria casa quando si rientra o di ringraziare i vestiti per il loro servizio prima di buttarli, o ancora di svuotare completamente la borsa e persino il portafoglio alla sera, perché si meritano di riposare durante la notte; bello ed interessante perché ci avvicina ad una cultura differente dalla nostra, che ha un rapporto con gli oggetti giustamente diverso. Però, avendo comprato questo libro per ricevere consigli sull’organizzazione, quindi di ordine pratico, da utente occidentale lo potrei trovare irritante. Proprio perché  sono metodi che non fanno parte della nostra cultura, e quindi non se ne trova un’applicazione pratica. Fanno passare in secondo piano il contenuto del libro che, scevro di queste “baggianate orientali” -ho letto in una recensione-, sarebbe più utile ed immediato.


PERFEZIONE O NON PERFEZIONE?
Marie poi consiglia di puntare alla perfezione e bandire ogni incertezza, quando si passano in rassegna gli oggetti e si riordina. Ma perché, dico io? Il voler raggiungere la perfezione porta solo alla paralisi.
Perché non si può controllare tutto e si rischia di creare una situazione stressante, arenandosi.
Perché, decidendo se buttare via o meno oggetti che abbiamo usato e ci sono stati cari, è normale, comprensibile e giusto avere delle incertezze. E’ umano. Basterebbe riporre questi oggetti in uno scatolone, applicarci un’etichetta con la data e metterlo da parte. Dopo sei mesi o un anno, riprendendolo in mano, sapremo se quegli oggetti erano davvero superflui o meno. Senza avere fatto violenza su noi stessi.


IL DECLUTTERING SELVAGGIO
Di conseguenza, non apprezzo nemmeno il modo dell’autrice di insistere sul buttar via tutto, sempre, in modo quasi convulso, non preoccupandosi delle conseguenze. Mi sembra un po’ irrispettoso e superficiale, perché non tiene conto del fatto che i nostri rapporti con gli oggetti sono delicati e personali:è giusto spronare le persone a non sommergersi di ciarpame ed evitare di restare aggrappati ad un passato che si dovrebbe lasciar andare, ma non è giusto farlo in modo avventato e omologato.
Oltretutto è un metodo molto poco sostenibile: in quest’epoca non è concepibile parlare di gettar via. A meno che non si tratti di oggetti davvero usurati  o irrecuperabili, le parole da usare sono dono, riciclo, recupero, seconda vita.


In conclusione, Konmari o non Konmari? Io vi consiglierei di leggere il libro, se l’argomento vi interessa, ma di selezionarne attentamente i contenuti. Modi di vedere troppo rigorosi ed intransigenti non portano mai a buoni risultati. In ogni caso preparatevi e armatevi di pazienza: come ogni manuale sulla crescita personale che si rispetti è ossessivamente, infinitamente, drammaticamente ripetitivo!

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