![]() L’altro giorno stavo spiegando a degli amici in cosa consiste il mio lavoro, ovvero di che cosa si occupa un Professional Organizer. E ho notato una piacevole differenza rispetto a qualche tempo fa. Prima, infatti, era immancabile il commento “Ma quindi metti a posto gli armadi?”, al quale io replicavo che no, come definizione era un tantino riduttiva. L’altro ieri, invece, per la seconda volta, il commento è stato “Ah, quindi sei una specie di coach”. Ora, i casi sono due: o io ho imparato a spiegarmi meglio, oppure forse il messaggio inizia a passare e le persone iniziano a capire davvero di cosa si occupa un Professional Organizer. L’analogia con il mestiere del coach, infatti, ci sta appieno. Il coach è un professionista che ha l'obiettivo di aiutare la persona a superare barriere che ostacolano il miglioramento di performance personali o lavorative. Un life coach, ad esempio, allena la persona a sviluppare il suo potenziale latente al fine di vivere con più soddisfazione la sua esistenza, a darsi obiettivi concreti allineati ai propri valori personali, e a raggiungerli con motivazione. Entrambe allora sono figure che hanno come scopo il miglioramento della qualità di vita delle persone, ed entrambi compiono con i loro clienti dei percorsi personalizzati e pianificati insieme atti a raggiungere questo scopo. Per venire a noi, e al reale argomento di questo post, qualcuno poi prosegue l’interrogatorio e mi chiede, tra il curioso e l’esterrefatto, “Ma come ti è venuto in mente di fare un lavoro del genere?” All’inizio rispondevo che, sì, sono un patologico e compulsivo maniaco dell’ordine-ad-ogni-costo; ma ho smesso quando ho visto che la gente ci credeva davvero. Allora ho iniziato a dare la risposta vera. Era una piovosa serata invernale di tre anni fa, all’epoca abitavo in una casa in cui c’era ancora la TV ed ogni tanto la accendevo. Mi capitò così di vedere un programma intitolato “Sepolti in casa”; una specie di reality che aveva come oggetto le difficoltà che incontrano le persone colpite dalla disposofobia -avrei saputo poi-, chiamata anche disturbo da accumulo. Mi affascinavano quelle persone che, in un periodo della mia vita in cui io imparavo a disfarmi di tutti i carichi inutili per viaggiare -e volare- leggero, non riuscivano a buttare via nulla. Nemmeno un fazzoletto usato. E vivevano, o meglio, tentavano di vivere sommerse e soffocate dagli stessi oggetti che ritenevano indispensabili per la loro sopravvivenza. E poi, notai anche una persona che, in sordina, collaborando con lo psichiatra che aveva in cura il malcapitato, lo aiutava a liberarsi di oggetti, dirigendo e pianificando le operazioni di smaltimento. Era il Professional Organizer, figura già diffusa da anni negli Stati Uniti. Rimasi fulminato: ecco il lavoro che faceva per me. Quello che volevo fare nella mia vita. Avrei aiutato quelle persone. Curioso come quello sia stato il mio primo approccio verso questa professione. E ora, finalmente, dopo tre anni, sto per iniziare un percorso per formarmi sul comportamento da tenere per trattare con persone affette da disposofobia: un nuovo eccitante capitolo sul quale presto vi darò aggiornamenti!
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Aprile 2020
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